Esistono differenti livelli d’analisi per arrivare a diagnosticare le porfirie:

1) ANALISI ENZIMATICA, SOLO PER le PORFIRIE ACUTE

Viene richiesta dal medico specialista, si tratta di un dosaggio su sangue periferico del paziente dell’enzima porfobilinogeno (PBGD) che è direttamente responsabile della forma di porfiria acuta intermittente ma che anche nell’HCP e nella VP risulta decresciuto.
Gli altri enzimi della via biosintetica non vengono dosati perché le tecniche sono complesse o viene richiesto molto materiale biologico. Un’attività della PBGD che risulta ridotta può già essere un indizio di porfiria acuta.
Ovviamente la diagnosi va implementata con altri parametri biochimici dato che questo enzima può essere soggetto anche a variazioni legate ad una richiesta alterata di eme da parte dell’organismo

2) IL PICCO PLASMATICO, PER TUTTE LE FORME DI PORFIRIA

Questa indagine viene eseguita solo nei centri specializzati e consiste nell’isolare il plasma del paziente ed eccitarlo ad una certa lunghezza d’onda che in genere corrisponde agli UVA e UVB.
Ogni precursore dell’eme (ALA, PBG) ha una propria capacità di reagire a queste lunghezze d’orda e di emettere “luce” ad una precisa intensità.
Picchi attorno ai 620 nm possono essere responsabili di AIP; HCP e PCT. Picchi di 627 nm corrispondono alla VP, mentre picchi a 635 sono riscontrabili nell’EPP e nella forma X-linked XLP.
3) ANALISI DELLE URINE PER LE PORFIRIE ACUTE e PCT
I precursori ALA e PBG sono molecole di natura idrofila, quindi una volta prodotte dal paziente vengono scartate direttamente nell’urina. Questa analisi è eseguita nei centri specializzati in porfiria, dato che per eseguire l’analisi servono sia determinate strumentazioni che accortezze, come quello di schermare l’urina raccolta del paziente con della carta stagnola, in modo tale da non fare reagire ALA e PBG alla luce.
Durante un attacco acuto i valori di questi due metaboliti possono essere molto elevati, tale concentrazione è in grado di rendere le urine di un tipico colore marrone (simile alla coca cola).
Oltre a rilevare ALA e PBG, tipico soprattutto per AIP, VP e HCP, si può andare a rilevare nelle urine, sempre attraverso tecniche certificate, la concentrazione di porfirine totali, l’analisi oltre alle porfirie acute include anche la porfiria cutanea tarda. L’esame è utile per andare a quantificare tutti precursori dell’eme che si accumulano dato il difetto enzimatico.

4) ANALISI DELLE FECI PER LE PORFIRIE CRONICHE; VP e HCP

Le sostanze come la Protoporfirina IX e la Coproporfirina, a differenza di ALA e PBG sono lipofile e quindi tendono ad accumularsi nelle feci. L’analisi di tale campione biologico permette di definire il quadro del tipo di porfiria. Infatti, per EPP c’è un chiaro accumulo di protoporfirina IX, mentre per HCP e VP, oltre alla PPIX, si può rilevare anche della coproporfirina. L’esame va eseguito sempre in centri specializzati.

5) PROTOPORFIRINE ERITROCITARIE PER LE PORFIRIE CRONICHE

Vengono richieste espressamente se c’è un sospetto di EPP o XLP. Sono infatti le molecole specifiche di queste due malattie che si accumulano cronicamente. Una quantificazione all’interno del flusso ematico porta a una quasi certa diagnosi di una delle due forme. Anche per la VP si può verificare un accumulo di PPIX, anche se in quantità minori rispetto alle precedenti forme.

6) ANALISI GENETICA

Una volta concluso lo screening biochimico e qualora risultino delle alterazioni, il medico specialista può prescrivere l’analisi genetica di uno dei geni causativi di una delle forme di porfiria. L’analisi viene eseguita con metodo Sanger in centri specializzati.
Qualora ci sia un forte sospetto di porfiria data la clinica e la biochimica positive ma non si trova la mutazione genetica, il paziente può essere analizzato tramite MLPA, una tecnica complessa per lo studio delle grandi delezioni, o con Next Generation Sequencing (NGS) qualora ci sia un forte sospetto di mutazioni sconosciute da ricercare.